tradimenti
Le corna del toro 1
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26.01.2025 |
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"Io non voglio morire; questo è il nocciolo; faccio schifo; sono un vegetale inutile; non ho prospettive; ma non voglio morire; per quella fede che mi hai..."
Quella sera Angelica aveva scelto di scopare con uno dei soci dello studio legale dove era impiegata, un giovane, nuovo associato, assai interessante che conosceva poco o niente; andare a scopare in un motel, per lei era abbastanza raro, anche se da ormai cinque anni faceva le corna a suo marito; di solito erano soluzioni più provvisorie, un angolo buio, un parcheggio o al massimo l’appartamento di qualche amico; il giovane era benestante e le aveva anche offerto la cena.Non conosceva neppure il nome; ma era da tempo, ormai, che sceglieva gli amanti per la grossezza del cazzo, unico elemento che poteva porre alla base dell’odio a suo marito, abituato a vincere in ogni situazione; entrare in camera e spogliarsi era scoprire una realtà sempre nuova e sempre eccitante; purtroppo, capitava quasi sempre che la situazione di imprevisto la ripiombasse indietro, con la memoria, di quasi diciott’anni.
Adesso ne aveva trentacinque, ma ne aveva diciassette quando vide per la prima volta Orlando nudo in una camera di motel; amoreggiavano già da molti mesi e lui l’aveva avviata ai primi rudimenti del sesso; quella sera, che avevano deciso di fare il ‘grande salto’, lui aveva trovato un motel fuori mano e vi erano andati per un paio d’ore; lì, per la prima volta, aveva potuto presentarsi in tutta la sua statuaria bellezza e ammirare il corpo tonico del suo ragazzo, che sarebbe poi diventato suo marito.
La coincidenza di situazioni la portò a provare noia quando si spogliarono, lei e il giovane professionista, ciascuno da una parte del letto, come se si trattasse di un incontro prezzolato tra una puttana e il suo cliente; con Orlando, per i tredici e più anni che erano stati intimi e innamorati, da fidanzati o da sposati, ogni spogliarello era un gesto di passione e di amore a cui erano legati indissolubilmente; anche dopo anni di scopate senza limiti, ancora giocavano a scoprire i corpi con lussuria.
Ma questo giovane era solo una sveltina come tante; addirittura, avrebbe dovuto rientrare abbastanza presto, per non scatenare una nuova guerra, anche se aveva costretto Orlando ad accettare che passasse intere e lunghe serate con ‘amiche’ o straordinari inspiegabili; una vocina interiore le suggeriva che lui fosse un cornuto contento, informato di tutto ma incapace di reagire; decisamente, contrastava con l’enfasi prorompente dei suoi rapporti sessuali; ma le pareva l’unica spiegazione.
Il ragazzo si spogliò e si sdraiò sul letto, da una parte; lei si liberò degli abiti, si stese e affrontò immediatamente il cazzo con la bocca; le piaceva molto sentire immediatamente il sapore della mazza sulla lingua e trattarla con molto garbo; sotto sotto, però, agiva anche un confronto involontario e temuto, controllare con le mani quale differenza ci fosse tra il cazzo che stava manipolando e quello che lei aveva provocatoriamente classificato come ‘piccolo’.
Aveva perfetta coscienza che era stato solo un modo di nascondersi dietro il ‘ditino’ di una motivazione alla quale lei per prima sapeva di non poter credere; ma lo squallore della vicenda era ruotato proprio intorno a quella considerazione e non disperava, ogni volta che mentalmente confrontava, di scoprire che effettivamente Orlando fosse un ipodotato; purtroppo, la constatazione ogni volta le diceva che la differenza in meno era impercettibile, visto che suo marito usava il cazzo molto meglio.
Il sasso che aveva innescato la valanga era partito pochi anni dopo il matrimonio, quando Angelica aveva cominciato ad avvertire un inspiegabile desiderio di sentirsi apprezzata e confermata da suo marito, quali che fossero gli argomenti di conversazione; lui non lesinava complimenti, adulazioni e plausi a lei, anche quando diceva cose non facilmente dimostrabili; un paio di volte che volle imporsi in temi delicati, lui la zittì con garbo.
Benché sapesse per certo di avere detto uno sproposito, si adontava comunque ed esigeva che lui la sostenesse nelle sue affermazioni, a costo di apparire ignorante e stupido; lui cercava di buttarla in ridere e lei sentì rinfocolarsi il rancore che si andò caricando ad ogni obiezione che il marito le faceva in perfetta buona fede; la volta che fu invitata a tacere su un progetto di lavori per i quali avanzò una proposta senza capo né coda, lasciò con malagrazia la compagnia e giurò odio eterno ad Orlando.
Mentre si arrovellava a domandarsi come metterlo all’angolo, ascoltò dei commenti stupidi, in ufficio, sulla grossezza dei cazzi provati da ciascuna delle pettegole presenti; di fronte alle mirabilia vantate dalle amiche, incurante della credibilità delle affermazioni, decise che suo marito non era all’altezza dei record millantati, fermandosi a 16/18 centimetri al massimo dell’erezione; la conseguenza fu scopare, l’estate successiva, con un bagnino di cui si celebravano i venti centimetri di splendore.
Riflettendo con serenità a distanza di anni, avrebbe potuto ricordare la delusione che registrò quando si accorse che un paio di centimetri sono molti ma diventano niente se l’uso che ne fa il maschio è diverso; Orlando era un cultore della soddisfazione della partner e riusciva a provocare orgasmi intensi e memorabili; il bagnino le sbatté la mazza nell’utero senza garbo e lei non ne fu molto contenta; ma, per giustificare il tradimento, si disse e commentò a tutti che aveva visto il paradiso.
Anche il cazzo che stava manipolando quella sera, oggettivamente, aveva forse qualche centimetro di più, al massimo dell’erezione; ma il soggetto, come la maggior parte di quelli che aveva scopato, se ne stava quasi immobile a farsi trattare come un samurai da una geisha dedita solo a lui; questo atteggiamento da maschio alfa, senza averne le qualità, era piuttosto diffuso e lei si era abituata a viverlo come normale, ma sapeva che, illudendosi di ribellarsi a un potere, sottostava ad uno peggiore.
Cacciò con un gesto nervoso i pensieri tristi e si dedicò al cazzo che aveva davanti, una bella mazza nodosa lunga e larga che teneva a due mani, una per i grossi coglioni che titillava con gusto e l’altra per l’asta ritta come un campanile dal ventre villoso; il piacere di far correre la pelle fino a scoprire il glande violaceo per poi riportare la mano in alto a coprire la punta le dava sensuali scosse di piacere; avrebbe voluto sentirsi masturbata ma era una tecnica di suo marito ignota agli altri.
Accostò la lingua alla punta e raccolse la goccia di preorgasmo che già la faceva esultare per il godimento che l’altro dimostrava; dare il massimo del piacere al partner fino all’esplosione della sborra, che le veniva spruzzata in faccia, in bocca, nell’utero o nel culo, era la sommatoria di tutta la lussuria che le dava scopare alla faccia del cornuto e delle sue fisime; godere e far godere era l’unico obiettivo, per sentirsi viva e motivata.
Accolse la mazza tra le labbra, strette per dare la sensazione di una violazione che sapeva essere amata dai maschi che la fottevano; quando fu nella cavità orale, accompagnò l’asta con la lingua lungo il palato e la fece affondare fino all’ugola; non diede nessun segno di reazione o di fastidio perché il punto era quello, prendersi una mazza grossa in ogni buco e godersela alla grande.
Per una decina di minuti succhiò, leccò e fece scorrere il cazzo nella bocca, fino al limite estremo del soffocamento; quando si rese conto che stava quasi per sborrare, il partner occasionale, che voleva soprattutto scoparsi quella figa meravigliosa, si bloccò di colpo, le sfilò il cazzo dalla bocca e la spinse supina sul letto; si attaccò ai capezzoli e li cominciò a succhiare e leccare con foga; lei si portò una mano sulla figa e sgrillettò il clitoride per darsi il piacere di cui l’altro non si occupava, preso dalla sua libidine.
Con decisione, lo prese per i capelli e trascinò la bocca sulla figa; almeno a una buona leccata pensava di avere diritto, visto che gli dava la figa senza contropartita; l’altro, più diligente di quanto era apparso, si dedicò volentieri al cunnilinguo e percorse abilmente il sesso con larghe spatolate; quando prese tra le labbra e succhiò il clitoride, lei si abbandonò al piacere intenso che quella pratica le procurava; andarono avanti per quasi mezz’ora.
Finalmente Angelica sentì alquanto lenita la sua infinita libidine ed attese con ansia che il giovane amante la scopasse sul serio, dopo le lunghe emozioni che la bocca le aveva dato succhiandole la figa; le salì addosso facendo strusciare il corpo su lei che sentì i capezzoli rizzarsi per la nuova lussuria che il corpo le dava a contatto con quello di lui; sentì il cazzo scivolare tra le cosce e lo prese in mano per guidarlo alla vagina; con un colpo secco, lui lo spinse fino all’utero.
Frenò la monta veloce e violenta che lui aveva imposto, stringendo le cosce e catturando la mazza nel canale vaginale; lo indusse a muoversi dentro con calma, facendole assaporare la consistenza del cazzo, unico motivo per quell’occasione di sesso; alla fine parve capire e si dedicò alla scopata con calma e ragionevolezza; ad Angelica piaceva soprattutto godersi il cazzo in figa, per sentirsene stimolata, per possederne la possanza; dopo due orgasmi notevoli, lo lasciò sborrare in figa.
Si fermarono per qualche momento, per riprendere fiato da una performance notevole; quando il cazzo tornò duro e riprese una dimensione ammirevole, lo fece montare a cavalcioni, strinse i globi del seno intorno alla mazza dura e lo invitò a scoparla così, alla spagnola; ad ogni spinta maggiore, accostava la bocca alla punta e succhiava, praticando, in combinazione con la scopata tra i seni, una perfetta fellazione che mandò ai matti il giovane.
Prima che sborrasse una seconda volta, lo fermò, lo scavallò e si rotolò sul letto, proponendosi di schiena; ‘lecca’ ordinò e lui le passò la lingua dal collo, lungo le vertebre fino alla preziosa curva delle natiche; la prese per le anche e le fece sollevare il culo fino a mettersi in ginocchio; a quel punto, la lingua passò a spatola lungo il solco tra i glutei e giunse fino all’ano, che succhiò a lungo con gusto; da lì, scivolò fino alla figa che penetrò profondamente.
Mentre lei si illanguidiva per effetto della lunga leccata, lui accostò la cappella alla figa e la penetrò a pecorina, spingendo il cazzo fino a che e palle battettero sull’inguine; lei si sentì profondamente riempita e godette molto; avrebbe voluto sentirlo nel culo, ma non era certa di essere abbastanza rilassata per quella mazza; gli chiese di lubrificarla con della crema da corpo che aveva con se; lui la prese dalla borsetta e le unse a lungo l’ano, fuori e dentro il canale rettale.
La libidine del cazzo che violava il buchetto la prese come al solito; scacciò quasi con rabbia il flashback che puntuale le emerse, della prima volta che Orlando le fece il culo con una delicatezza, con una passione, con un amore che avrebbe messo in tutte le migliaia di volte che l’aveva inculata con grande abilità; il cazzo di quest’amante, poco più grosso di quello di suo marito, le provocava un certo fastidio; cacciò con rabbia il ricordo e si dedicò all’inculata.
Avevano preso una camera per due ore e non volevano sforare; dopo la sborrata nel culo, lui la trastullò in tutti i modi possibili fino all’ultimo momento, quando chiuse in bellezza con l’ennesima esplosione nell’utero; si rivestirono e andarono via; dalla figa ancora le colava la sborra dell’ultima scopata, ma non se ne diede per inteso; sul portone di casa, scendendo dalla macchina, lui le chiese se avrebbero ripetuto l’esperienza; gli disse che non scopava mai due volte con lo stesso amante.
Per una perversa interpretazione di quel che suo marito le aveva detto una volta, si era convinta che il sesso senza amore non fosse tradimento; quindi, nella sua manipolazione della logica, anche mille amanti scopati una sola volta, non facevano un tradimento; sapeva perfettamente di dire un’eresia, ma il piacere di inventarsi le motivazioni per fargli le corna rendeva affascinante anche il gioco perverso dei fraintendimenti volontari.
D’altronde, Angelica non si era mai nemmeno preoccupata di capire quanto sanguinose fossero le umiliazioni che arrecava ad un poveraccio che non aveva colpe se non quella di non essersi piegato prono ai suoi capricci; la scelta terribile di cornificarlo ad libitum diventava, nella sua perversa mente malata, una conseguenza inevitabile dell’arroganza del marito; quasi a convincersene, si diceva che era un impotente, anche se, paradossalmente, sapeva bene che per dieci e più anni l’aveva demolita a letto.
Ma la tigna era ormai la sua stella polare e, quando voleva giustificare a se stessa le degenerazioni incomprensibili, arrivava ad affermare che fosse un cornuto contento o addirittura un frocio che conosceva i suoi tradimenti ma li ignorava perché ne godeva; tornando a casa, quella sera, trovò suo marito in bagno; entrò anche lei, si sedette sul water, deponendo lo slip grondante sborra sotto il naso di lui; pisciò sborra, si lavò sul bidet e andò a letto; lui da mesi dormiva nello studio.
Puntò la sveglia e si destò in tempo per prepararsi ed uscire; trovò il marito seduto a fare colazione; non resistette alla tentazione di offenderlo e provocarlo.
“Cos’è, quell’aria triste, ti prudono le corna?”
“Qualche volta le corna del toro squartano il torero; attenta alle corna del toro!”
“Ma qui vedo solo un bue lento e tonto!”
In ufficio, la notizia del giorno fu che il giovane associato era stato oggetto di un’aggressione di balordi sotto casa ed era in ospedale non in pericolo di vita ma malconcio; pareva che si fossero accaniti particolarmente sui testicoli; qualcuno ipotizzava storie di adulterio; Angelica si trovò a pensare che, se suo marito non fosse stato un’autentica pecora incapace di qualsiasi violenza, il discorso sulle corna che sfondano poteva adattarsi al caso; ma era convintissima che lui fosse un inetto.
Tornando a casa, la sera, ebbe l’impressione di vedere uscire dal suo portone sua sorella Antonella, per lei Nellina, più giovane di otto anni che, molto legata a suo marito, spesso era a casa loro; non riuscendo a richiamarne l’attenzione, si riservò di parlare con Orlando, se non fossero emersi motivi per litigare, come ormai avveniva puntualmente; in realtà, era lei a sbraitare contro di lui che, da quel pecorone che era, si limitava a rispondere a monosillabi.
Lui non era in cucina, ma chiuso in bagno, cosa che faceva raramente perché, soli in casa, non usavano chiudere porte; andò a spogliarsi in camera e trovò il letto sconvolto come se ci avesse scopato una coppia di allupati amanti per un intero pomeriggio; non era molto accurata nel rifare la camera, quando usciva per andare al lavoro; ma la scena che le si presentava era di una vera tempesta passata sul letto e solo due amanti potevano averla fatta.
Si fiondò alla porta del bagno e picchiò con forza urlando finché lui decise di aprire e si presentò con un’aria serafica; lo aggredì con la sua versione che riteneva l’unica possibile; in quella camera dormiva solo lei e usava solo una parte del letto; era stata al lavoro ma qualcuno su quel letto ci aveva scopato; con quale puttana la aveva tradita nel proprio talamo coniugale? Lui si limitò a sorridere al termine ’tradita’; perfino lei capì l’assurdo di quel che diceva.
“Quel letto è stato ed è da sempre mio; ci ho fatto l’amore, perché io faccio l’amore, non scopo come certe puttane nei motel, nelle macchine, nei cessi; in quel letto ormai sei solo ospite sgradita ma io ci porto la donna che amo, ci ho portato solo le donne che amavo ed anche oggi ho vissuto ore d’amore che non sei più in grado di capire; quello di cui ti intendi sono solo le corna e ti conviene riflettere che prima o poi le corna ti faranno molto male … “
Per un momento fu assalita da un oscuro senso di terrore; i calzini abbandonati ai piedi del letto erano di suo marito e il boxer sulla poltrona anche; aveva scopato con un’altra, ma era suo marito, non doveva; si fermò un momento; che imbecille, lei, la moglie che lo riempiva di corna, protestava per una scopata; si fermò e si chiese cosa volesse dire quel discorso sulle corna che sventrano; l’agguato all’avvocato portava quasi la firma della malavita del suo paese.
Il ‘boss’ era infatti un personaggio ambiguo, a cui venivano ricondotti molti gruppi di malavitosi; Orlando non aveva mai voluto avere a che fare con quell’area, anche se un personaggio, il numero due del ‘boss’ si diceva, era Franco, amico d’infanzia di suo marito, al punto che ‘Dino e Franchino’ era stata spesso indicata come una coppia inossidabile; ma, se anche poteva ipotizzare che Franchino stesse facendo la vendetta per Orlando, non si spiegava una prostituta nel letto di suo marito.
Lui aveva solo e sempre fatto l’amore, addirittura l’aveva fatto con una sola donna, lei; non c’era dubbio che odiasse l’amore mercenario, sotto qualsiasi forma; non era possibile che avesse scopato un pomeriggio con una puttana; quindi doveva essersi innamorato di un’altra donna e avere deciso di portarsela nel suo letto, al posto della moglie; le due ipotesi, la malavita e l’innamoramento, erano terribili per le conseguenze che potevano avere sul matrimonio e sulla coppia.
Per una sola volta, e in un frangente tanto strano, si trovò a riflettere con freddezza e logica; ma si stancò presto e decise che non era il caso di arzigogolare su cose che non la toccavano; forse era stata lei stessa a disfare il letto lasciandolo in disordine e il giovane avvocato aveva molti amorazzi di cui rendere conto; le soluzioni più immediate e semplici erano per lei sempre le migliori; quando aveva scelto, esisteva solo la sua verità; quindi, non c’era malavita e suo marito era un cornuto frocio.
Su questa convinzione, mantenne intatte le sue abitudini e le sue frequentazioni; passarono una decina di giorni dopo l’ultima scopata; intanto, aveva avuto modo di scoprire che suo marito aveva stranamente cambiato modo di vita; adesso i suoi armadi traboccavano di abiti di sartoria, aveva una nuova auto molto più bella; spariva spesso per più giorni per inspiegati lavori straordinari; se fino a poco tempo prima erano stati estranei sotto lo stesso tetto, ora non convivevano neppure.
La rabbia contro il marito le montò ancora più feroce e le provocò il solito prurito di figa che solo una ricca scopata poteva lenire; aveva ricevuto più volte i complimenti volgari e pacchiani di un personaggio strano, decisamente malavitoso, supponente e sbruffone, che esibiva con spocchia gioielli vistosi, abiti firmati ma di discutibile gusto e macchine sempre nuove e diverse; l’ultima era un Suv superaccessoriato, perfetto per scopare, come millantava ad alta voce.
Angelica decise che quello sarebbe stato il suo prossimo stallone, sperando che la dotazione non fosse millantata; lo agganciò al bar dove talvolta si incontravano e stavolta non fece orecchie da mercante ai suoi inviti a provare la macchina; spudoratamente, salì, davanti alle amiche inebetite, e lasciò che la falda del vestito salisse oltre ogni lecito; era uscita, a bella posta, senza intimo e, a coprirla, c’era solo un abitino facile da sfilare, in linea con la stagione calda.
Lui tirò fuori subito un cazzo di notevole dimensione e lei lo afferrò immediatamente, masturbandolo con sapienza; i vetri oscurati impedivano che li vedessero dall’esterno e lei lasciò che la mano di lui arrivasse fino alla figa; si masturbarono per i dieci minuti circa che lui impiegò per raggiungere una radura in un bosco, ai bordi della statale, nota per essere frequentata da puttane, froci ed amanti clandestini per fare sesso in macchina.
Il tizio non aveva nessun garbo, la baciò voracemente, le sfilò il vestito e le succhiò vogliosamente i capezzoli; trattandola come una bambola a sua disposizione, saggiò tutti i buchi con le dita e le infilò profondamente, provocandole anche qualche fastidio; non erano comodi i sedili anteriori; le disse di passare su quelli posteriori; uscirono dall’auto che lei era già nuda; prima che salisse sui sedili posteriori, la spinse volgarmente contro la fiancata dell’auto e le piazzò in figa, a pecorina, il cazzo.
Non ebbe tempo per protestare; emersero dal buio degli alberi, come fantasmi, quattro figure nere, con tanto di passamontagna e mazze da baseball minacciosamente alzate; lei vide nettamente la faccia terrorizzata del suo caprone mentre l’altro faceva piombare la mazza sulla tempia; vide la ferita aprirsi come una incisione in un cocomero, perché il sangue coprì il viso; un colpo al ginocchio le provocò un dolore indicibile; urlò, mentre sentiva lo stesso dolore sull’altro ginocchio, sulle anche e alla mandibola; alla fine, fu tutto nero e, forse per sua fortuna, perse i sensi.
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Erano passati almeno sei mesi dall’accaduto; Angelica si trovò inchiodata ad una carrozzella, in un ospizio per tetraplegici, impossibilitata a fare alcunché; nel mese trascorso in ospedale, con una lunga e dolorosa serie di interventi, le avevano diagnosticato la frattura delle rotule e dei femori; questo l’aveva ridotta in carrozzella con grandi problemi per riprendere una normale andatura; la cura per la riabilitazione si faceva in pochi centri specializzati ed era costosissima.
Peggio ancora le era andata con la mazzata alla mascella; il volto era deformato completamente e per molto tempo avevano dovuto alimentarla per endovena e con cibi liquidi; anche per quella ferita, sarebbero stati necessari costosissimi interventi di ricostruzione della mandibola e delle guance; la chirurgia plastica, a detta dei medici dell’ospedale, poteva ridarle la bellezza antica quasi intatta; ma i costi per le operazioni erano stellari e non coperti da assicurazione.
Naturalmente suo marito non si era visto e non si sarebbe mai più fatto rivedere da lei; a passare a trovarla, periodicamente, era sua madre che inizialmente lamentò enormi difficoltà per suo fratello ad ottenere un posto di rilievo che aveva i titoli per occupare e che gli era stato assicurato; ma poi qualcosa aveva intralciato il processo ed ora era rimasto parassita sulle spalle della famiglia; suo padre vedeva il posto di lavoro continuamente in bilico; pensare a un loro aiuto era utopia.
Quando dovettero dimetterla dall’ospedale, in carrozzella e deforme, sua madre era riuscita a sistemarla in quell’ospizio; il suo posto sarebbe stato a casa, ma suo marito si era rifiutato di accoglierla perché non poteva garantirle l’assistenza 24 ore che il caso richiedeva; praticamente era un essere vegetante non in grado neppure di lavarsi e puzzava terribilmente; solo una volta alla settimana, quando veniva a trovarla la madre, poteva sperare di essere messa in una vasca e lavata per bene.
Non toccarono mai il tema del perché fosse stata trovata sfracellata e sanguinante nella radura delle puttane; ma troppi elementi concorrevano a dimostrare che la madre sapeva e la disprezzava profondamente; appena trasferita all’ospizio, le fece sapere che tutti i loro problemi erano risolti; Antonella, la sua sorella minore che per gli amici era Nella e per lei affettuosamente Nellina, aveva scelto di andare a vivere con un uomo molto potente e ricco, sposato male senza volontà di separarsi.
Ne era profondamente innamorata e non aveva nessun desiderio di stabilire un rapporto formale come il matrimonio; l’amore era cemento sufficiente tra loro; il figlio che sarebbe nato presto avrebbe rafforzato la loro unione; con la sua intelligenza e col potere anche economico del compagno, la ‘sua bambina’ era riuscita a crearsi una condizione regale che la faceva rispettare da tutti e permettersi molti lussi.
Angelica chiese se sua sorella sarebbe stata in grado di aiutarla a uscire dalla sua condizione; le obiettò che la cifra necessaria per il compagno di Nella era quasi irrisoria; ma sua sorella non la perdonava e il compagno non avrebbe mai fatto una cosa così importante senza l’autorizzazione del boss; il suo unico commento, auto-compassionevole come sempre, fu che le toccava in sorte di essere schiava di un marito, di caproni come amanti e dei soldi di un malavitoso.
La madre sbottò, a quel punto; gliene disse di tutti i colori.
“Senti, stronza; chi c’era con te al mare quando facesti le prime corna a tuo marito? … C’era Nella che vide tutto, ma tu la mettesti a tacere; eppure, sapevi che si era innamorata, ragazzina, di Orlando che tu affascinasti per capriccio, poi sposasti credendo di avere comprato lo schiavo e hai massacrato di corna sempre per i tuoi capricci; quello che ha sofferto tua sorella lo so solo io; se prova del risentimento contro di te, ha molte più ragioni di quante ne hai avute tu per fare la puttana.
Tu non hai accolto sulla spalla asciutta le lacrime che hai fatto versare a un uomo nobile e buono solo perché la volevi vinta ad ogni costo e grattavi il fondo della sporcizia credendoti superiore; tu non hai fermato Orlando quando era al suicidio tentato per la disperazione di vedere i suoi sogni distrutti; Nella c’era e ha dovuto ingoiare dolore e amaro nel tentativo di tenere coi piedi per terra la larva umana a cui tu avevi ridotto l’uomo che lei adorava; se ti odiasse, ne avrebbe tutti i motivi.”
“Stai cercando di caricarmi anche la colpa del dolore di mia sorella?”
“Sentimi bene, troia imbecille, Nella si è messa con un malavitoso, anche se è lontanissima da quell’area; ed è colpa tua; noi abbiamo rischiato la fame e il fallimento per colpa tua; ci ha salvato l’aiuto del ‘boss’ per intercessione del compagno di tua sorella; ora anche noi siamo nel novero della ‘famiglia’ del boss dopo che per decenni tuo padre se ne era tenuto lontano; e questo grazie a te e ai tuoi capricci.
Se vuoi il quadro completo dei danni che hai fatto, mi hanno fatto avere un’intera collezione di giornali con articoli su vari ‘incidenti’ strani capitati a tanti maschietti che una buona agenzia ha identificato come gli amanti che ti sei portata nei cessi, nelle auto, negli appartamenti, nei motel; tutti quelli che ti hanno scopato hanno fatto la fine dell’avvocato che è stato il tuo ultimo stallone prima che le mazze da baseball ti riducessero in carrozzella.
Molti sono stai investiti da ‘pirati della strada’, altri sono stati oggetto di incidenti automobilistici spesso gravi, altri ancora sono stati coinvolti in risse strane, ci sono stati molti agguati ad opera di ‘balordi’ come il tuo avvocaticchio; molti sono rimasti zoppi, altri sfregiati, tanti sono così traumatizzati che non riescono a recuperare un minimo di serenità; anche quei danni derivano dai tuoi capricci; sei stata tu a muovere il sasso sbagliato che ha provocato la valanga che travolge tutti …
Ricordi cosa dicesti a tuo marito l’ultima volta che avete parlato? Le corna gli prudevano, sì; ma prudevano e prudono ai suoi amici che le sopportano assai meno di lui e non te le hanno perdonate come forse lui avrebbe fatto; in compenso, ti aveva avvertito che le corna del toro potevano squartare il torero; eccoti qua, torero senza gambe e senza faccia; tuo marito sa quello che dice, non parla a vanvera come quella zoccola della moglie che dice stupidaggini e pretende che lui le dica di sì.“
“Mamma, riesci ancora a volermi bene come a una figlia?”
“Non posso farne a meno, perché sono tua madre e la legge di natura mi porta ad amarti anche se sei una fogna aperta a chiunque … “
“In una cosa hai perfettamente ragione; la zoccola che è in me diceva cazzate e pretendeva dal marito che passasse per idiota solo per farmi felice; non ho saputo vedere la felicità che mi dava; ed ho dovuto passare l’inferno di caproni prepotenti per capire che avevo buttato il diamante perché ero convinta che fosse un fondo di bottiglia; sono arrivata tardi, per tutto, ed ora pago in una sola volta gli errori di una vita; sbaglio a sperare di trovare una seconda occasione per correggermi?”
“Io non posso dartene; posso lavarti e prendermi cura di te; qualcun altro potrebbe forse darti una seconda opportunità; ma tu hai seminato rancore e odio; chi ha sofferto ha risposto con odio e rancore più forti; non so se esiste un punto di equilibrio e come si raggiunge; posso solo augurarmi che la verità ti aiuti e che trovi orecchie disposte ad ascoltarti e menti pronte a credere nel tuo pentimento … “
“Riusciresti a convincere Nella, la mia Nellina, a parlare con me per chiederle perdono?”
“Angelica, figlia benedetta, come si fa a parlare con te che non vuoi andare oltre i paraocchi? Hai provato a indovinare chi è il compagno di tua sorella? Ti ho dato tutti gli elementi per arrivarci, ma tu sei quella che si ferma al poco che capisce e lo impone come verità, ti rendi conto?”
“Hai detto che è nel giro del ‘boss’, che è sposato male e non divorzia, che è straricco; l’unica persona che si avvicina potrebbe essere Franchino, ma non è sposato; se amasse Nellina, per come lo conosco, la sposerebbe immediatamente.”
“Figlia bella, mi stai esasperando! … Orlando, è Orlando l’uomo di tua sorella, dalla quale aspetta un figlio; non hai capito che Nella fu la spettatrice del tuo primo tradimento, non seppe tacere e lo disse a tuo marito; lui pianse tutte le sue lacrime e l’unica spalla asciutta che trovò fu quella della ragazzina che sbavava per lui da quando era adolescente; si è fatto forza e per fortuna ha contravvenuto a tutte le sue leggi morali; l’amore è stato più forte.
Ancora più forte è stata tua sorella, che l’ha convinto a parlare con Franchino per fare chiarezza e poi ad accettare il ruolo di amministratore segreto del patrimonio del boss; oggi lui figura solo economo di un cantiere edile ma in realtà tiene i registri privati del boss; tua sorella imperversa in tutte le iniziative lecite ed è un’autentica regina; solo lei può convincere il suo uomo, che è ancora tuo marito, a pagarti le spese ospedaliere.
Ma Nella non è irrazionale né stupida come te; intanto, rifiuta il matrimonio e, prima ancora, il tuo divorzio, indispensabile se vuole sposare tuo marito; ma sa anche che il ‘boss’ e Franco non vogliono che le tue sofferenze abbiano fine; sei colpevole di avere mortificato e fatto soffrire il numero due del ‘boss’; per loro, devi patire fino alla morte; Orlando non saprebbe decidere da solo; ha bisogno di una donna a fianco, di una donna vera, determinata, lucida, intelligente.
Nella è in grado di tenere testa a qualunque capo; ma non vuole che il compagno soffra qualunque soluzione; tu hai perso il diritto all’amore coniugale e a quello familiare; non so se ce la farei a convincerla che deve aiutarti, farti divorziare a farti sparire dal loro orizzonte, anche perché neppure io posso fidarmi di te e garantire che, se ti danno una seconda opportunità, poi tu ti togli dai coglioni e li lasci vivere in pace.”
“Cosa posso fare per aiutarti a credermi?”
“Ragazza mia, quello che non hai mai capito e che è difficile spiegarti è che la fiducia, come la fede, è un atto spontaneo; tu credi in qualcosa senza avere nessuna prova, nessun elemento che giustifichi; io credo che Dio esiste anche se nessuno lo ha mai visto; io ti voglio bene perché mi sei figlia e non ho bisogno di prove; io amo mio marito ma non ho nessuna prova che sia il mio ideale di uomo; capisci, che crederti è un fatto soggettivo; tu non puoi fare niente.
Io dovrei fare l’atto di fede, o di fiducia, di credere che quando ti sei vista morta, in quella radura, hai capito e vuoi cambiare; poi dovrei chiedere a tua sorella di fare un altro atto di fede, o di fiducia, e convincersi fermamente della tua buona fede e della tua volontà di non fare altro male a nessuno di noi; il bello è che il cuore di mamma mi spinge a farlo e, usando l’affetto, posso ricattare Nella e obbligarla ad agire come è meglio per te.
Tu, che non sei abituata a riflettere, non ti sei quasi accorta che non solo tuo marito ti ha cancellato anche dai ricordi, al punto che non si è visto e non intende farsi vedere; ma che anche tuo padre è molto combattuto dall’idea di rinnegarti, di cancellarti dalla vita, dalla memoria, anche dagli atti ufficiali, se è possibile, perché si rifiuta di accettare che sua figlia sia la zoccola che sei; non so se faccio bene a dare fiducia a una donna che neppure una frase di pentimento ha pronunciato … “
“Mamma, quando si ha un orgoglio smisurato come il mio, è più facile ingoiare le lacrime che versarle; le ferite esterne si vedono; quelle che mi stanno lacerando l‘anima, le conosco solo io; sono mesi ormai che sono costretta ad arrovellarmi sui perché; ora che anche tu mi hai confessato certe cose, le lacerazioni sono ancora più sanguinose; se camminassi regolarmente, avrei scelto di gettarmi sotto un treno; la morte mi appare spesso come l’uscita dignitosa.
Mi sono anche studiata come andarmene senza fare altri danni; la sera quando tutti sono attenti alla tele, vado spesso giù in piscina; ho calcolato che, se mi lascio cadere in acqua con la carrozzella, non si penserà nemmeno al suicidio ma a una disgrazia; finora, non sapevo perché mi ero fermata più volte al bordo dell’acqua; adesso me lo hai spiegato tu; non riesco a fare a meno della speranza, che è come la fede, non chiede dimostrazioni.
Io non voglio morire; questo è il nocciolo; faccio schifo; sono un vegetale inutile; non ho prospettive; ma non voglio morire; per quella fede che mi hai spiegato così bene, continuo a credere in un miracolo, in una sorella che si renda conto che, per quello che conoscevo, io non ho mai cercato di farle male; non sapevo niente di quello che le era successo; forse un segnale vago lo avevo avuto, la sera che, tornando a casa, la intravidi uscire e trovai il letto sconvolto; era stata con Orlando a fare l’amore.
Lui cercò anche di avvertirmi, quando mi disse che in quel letto aveva fatto l’amore solo con me e con la donna che mi aveva sostituito; non volli capire e non capii; credimi, fino a mezz’ora fa non sapevo del disamore di Nellina; se lei capisse solo questo, saprebbe che sono più imbecille che puttana, che voglio sparire ma posso farlo solo se lei mi aiuta; aspetto il miracolo, mamma, per fede o per speranza, comunque per qualcosa di irrazionale.”
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Commenti per Le corna del toro 1:
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